Tutte le bugie di Grasso, il furbo che piace a tutti.
PURE A PIAZZAPULITA, IL PRESIDENTE DEL SENATO HA MENTITO SENZA TEMA DI
SMENTITA.
di Marco Travaglio
Chi è Piero Grasso? Biografia non autorizzata | di Marco Travaglio - 21, 23 e 25 Marzo 2013
Ma oltre a Giuffre', Grasso fece lo stesso con
Campanella
Tratto da Repubblica.it del 29 Settembre 2005 -
Nuovo pentito, accuse a Grasso Tredici pm: non
ci ha avvertiti
Ancora polemiche e veleni al Palazzo di giustizia di Palermo. L' accusa è
sempre la stessa, «mancata circolazione di notizie» all' interno della
Direzione distrettuale antimafia della Procura diretta da Piero Grasso. Ed
è proprio al procuratore Grasso che tredici sostituti hanno indirizzato una
lettera per lamentare di avere appreso «ancora una volta dai giornali dell'
esistenza di un nuovo pentito di mafia». Il riferimento è all' ultimo
collaboratore di giustizia, Francesco Campanella, ex presidente del
consiglio comunale di Villabate, indagato per associazione mafiosa. La
notizia che l' uomo politico aveva deciso di collaborare con la giustizia è
stata anticipata nei giorni scorsi da Repubblica. La lettera al procuratore
Grasso non è ancora arrivata. Lui pertanto evita di replicare: «Non posso
commentare fatti che non conosco. Ieri non ero a Palermo e alla mia
segreteria non è arrivata nessuna lettera indirizzata a me». Campanella si
è pentito due settimane fa. La sua collaborazione, secondo la lettera che
contesta l' operato di Piero Grasso, sarebbe stata tenuta segreta anche a
molti magistrati della Dda: tra questi, Massimo Russo (ex presidente
distrettuale dell' associazione nazionale magistrati), Roberto Piscitello,
Gaetano Paci e Domenico Gozzo. Nella lettera i tredici sostituti
procuratori aggiungono di avere appreso la vicenda «dai giornali». Non è la
prima volta che in Procura scoppiano polemiche sulla «circolazione di
notizie». La prima grande frattura all' interno della Direzione antimafia
avvenne il 28 settembre del 2002, alcuni mesi dopo il pentimento del boss
di Caccamo, Antonino Giuffrè. Anche allora le dichiarazioni del
collaboratore Giuffrè furono «blindate» e ristrette al gruppo di pochi
magistrati che lo gestivano. Una polemica che durò mesi e che, a quanto
pare, non si è mai sopita. Anche allora molti magistrati della Procura
palermitana accusarono il loro capo Piero Grasso di «accentrare» nelle mani
di pochi un patrimonio di conoscenze che poteva essere utile anche per lo
svolgimento di altre indagini contro la mafia.
FRANCESCO VIVIANO
Nelle quasi due ore di intervista concordata per rispondere ai
tre minuti che gli avevo dedicato a Servizio Pubblico, Corrado Formigli e Piero
Grasso hanno detto moltissime cose. Tralascio, per palese irrilevanza, quelle
dette da Formigli (a parte il rivendicare come "la cosa più normale del mondo"
convocare con un tweet notturno un confronto fra la seconda carica dello Stato e
un giornalista di un'altra testata, che fra l'altro non frequenta twitter). E
passo immediatamente al presidente del Senato, che si conferma purtroppo un
pubblico mentitore e approfitta del fatto che i suoi colleghi della Procura di
Palermo non possono andare in tv a sbugiardarlo. Se però mi vorrà querelare, sono
in molti che verrebbero volentieri a testimoniare sotto giuramento come sono
andate le cose e dove sta la verità.
Balla n. 1: appello Andreotti. Grasso dice di
non aver firmato né "vistato" l'atto di appello della sua Procura contro
l'assoluzione di Andreotti in primo grado per motivi squisitamente tecnici, in
quanto era stato sentito come testimone e la sua adesione all'appello avrebbe
precluso ai giudici la possibilità di risentirlo in appello. È falso. Quando,
nell'estate 2000, i procuratori aggiunti Scarpinato e Lo Forte gli consegnano il
plico dell'impugnazione, Grasso rifiuta non solo di sottoscriverlo, ma anche di
apporre il "visto" rituale, dicendo che non l'ha letto e non c'entra. Un gesto di
plateale presa di distanze, che gli vale le lodi sperticate del Foglio di Ferrara
e del Velino di Jannuzzi. Anziché respingere quegli imbarazzanti elogi, Grasso
rilascia un'intervista al Quotidiano Nazionale e spiega che "forse, se avessi
avuto più tempo a disposizione, avrei potuto collaborare anch'io alla stesura"
(7.8.2000). E un'altra a La Stampa in cui boccia i processi della stagione
Caselli, capace - a suo dire - di "ottenere condanne solo sulla stampa, nella
fase delle operazioni di cattura, e non sempre nelle sedi giudiziarie e in via
definitiva" (19.8.2000). Potrebbe dichiarare subito che il mancato visto è dovuto
a un motivo squisitamente tecnico (il suo ruolo di ex testimone), ufficializzando
così la sua vicinanza ai PM nel mirino per aver osato processare uno dei padroni
d'Italia. Invece, col suo attacco a Caselli e ai processi eccellenti istruiti
sotto la sua guida, li delegittima e li isola. Soltanto parecchio tempo dopo
Grasso scoprirà improvvisamente di non aver firmato l'appello Andreotti (fra
l'altro coronato dal successo di una sentenza d'Appello, poi confermata in
Cassazione, che dichiarerà provata la mafiosità dell'ex premier fino al 1980)
perché aveva testimoniato in primo grado. Una scusa puerile e infondata, sia
perché nessuno pensava di richiamarlo a testimoniare in appello; sia perché, da
procuratore nazionale antimafia, Grasso ha poi coordinato per anni varie indagini
sulle stragi, in cui era stato chiamato a testimoniare più volte sui suoi
rapporti con Falcone e sulla sua funzione di giudice del maxiprocesso, e non si è
mai sognato di astenersi per quel motivo.
Balla n. 2: caso Giuffrè. Nel giugno 2002 si
pente Antonino Giuffrè, boss delle Madonie, fedelissimo di Provenzano e membro
della Cupola. Grasso dice che Giuffrè "valeva oro" perché sapeva tutto di tutti i
livelli mafiosi. Dunque cosa fece? Non avvertì nessuno dei PM antimafia, né
tantomeno le procure di Firenze e Caltanissetta che indagavano sulle stragi, e
per ben tre mesi se lo gestì da solo, clandestinamente, insieme al fido aggiunto
Pignatone e al fido sostituto Prestipino (all'altro aggiunto Lo Forte diede la
notizia, ma negò l'accesso ai verbali). E lo interrogò "personalmente nel carcere
di Novara", ma "solo i sabati e le domeniche": mossa geniale, quella di giocarsi
5 giorni su 7 a settimana, visto che la nuova legge sui pentiti dava ai PM solo 6
mesi di tempo per cavargli di bocca tutto quel che sapeva.
Perché tanta segretezza? Per evitare "fughe di notizie" che avrebbero messo a
repentaglio la vita dei famigliari del neopentito: oltretutto - dice Grasso
"Giuffrè mi aveva parlato di talpe in Procura, che poi abbiamo individuato". Se
ne deduce che Grasso sospettava (senza prove) dei suoi colleghi, e perciò
disattese la regola-Falcone della "circolazione delle informazioni" nei pool
antimafia. Ma non basta: nei primi tre mesi (su sei a disposizione) interrogò
Giuffrè quasi soltanto su certe estorsioni nelle Madonie, che porteranno
all'arresto di una dozzina di pastori: la gallina delle uova d'oro che partorisce
il topolino. Per annunciare i mirabolanti arresti, Grasso convocò una conferenza
stampa il 20.9, svelando la collaborazione di Giuffrè "nuovo Buscetta". Insomma,
la fuga di notizie la fece il procuratore che ora dice di averla sventata,
precludendo l'effetto sorpresa che poteva portare alla cattura di latitanti o al
rinvenimento di prove decisive sui rapporti mafia-politica. Per questo, tutta la
DDA di Palermo "processò" Grasso che alla fine dovette capitolare: Giuffrè poteva
essere sentito (giorno e notte, a tappe forzate, essendo rimasti solo tre mesi)
dai PM dei processi eccellenti. A loro rivelò particolari importanti su
Andreotti, B., Dell'Utri e trattativa, che Grasso non aveva chiesto. Non solo:
consentì di individuare il referente mafioso delle talpe in Procura (che non
erano PM, ma i marescialli Ciuro e Riolo): il costruttore Michele Aiello. La
scoperta si deve ai PM Scarpinato, Lari, Russo, Paci, Piscitello, Guido e Tarondo
che lo interrogarono a tutto campo il 12.11.2002. Lì Giuffrè rivelò che Aiello
era un prestanome di Provenzano. Così Grasso e i suoi, due anni dopo, fecero
arrestare lui e i marescialli-talpa. Dunque è falso che la segretezza su Giuffrè
abbia consentito la scoperta delle talpe: al contrario, fu proprio quando Grasso
dovette informare su Giuffrè i suoi PM che le talpe furono smascherate.
Balla n. 3: Ciancimino & Co. Partito Grasso
da Palermo nel 2005, dai cassetti della Procura saltano fuori un sacco di
documenti dimenticati o trascurati sui rapporti mafia-politica. 1) Le
intercettazioni dirette e/o indirette di telefonate del 2003-2004 fra il
prestanome di Vito Ciancimino, il ragionier Lapis, e gli on. Cintola, Romano e
Vizzini, in cui si parlava anche di Cuffaro, e che facevano ipotizzare una
corruzione mafiosa. 2) Un pizzino di paternità incerta (Ciancimino? Riina?
Provenzano? Un loro scriba?) con minacce e promesse di appoggio a Berlusconi in
cambio di una tv Fininvest. Grasso l'altra sera si è fatto una risata: ai suoi
tempi Massimo Ciancimino "non collaborava" e i Carabinieri o i suoi sostituti -
lui, mai - "commisero degli errori o forse trascurarono qualcosa". Già, ma era
difficile che Ciancimino collaborasse, visto che la sua Procura non gli domandò
nulla sulla trattativa. E non fece domande sulle carte sequestrate a Ciancimino
jr. sulla trattativa: come il pizzino su B. e Dell'Utri (puntualmente segnalato
dall'Arma alla Procura). Grasso dice che "non si sapeva chi l'avesse scritto,
forse Provenzano o Riina". Invece di indagare meglio, lo gettarono in uno
scatolone, dove lo ritrovò un PM dopo la dipartita di Grasso.
Quanto alle telefonate dei/sui quattro
politici, Grasso sostiene che non erano dirette, ma fra terze persone
che accennavano a nomi di battesimo imprecisati: i Carabinieri non capirono che
"Totò" era Cuffaro e "Saverio" era Romano (probabilmente pensarono al principe De
Curtis e a Borrelli), dunque ignorarono i nastri "senza neppure trascriverli". Ma
neanche questo è vero: le telefonate erano fra Ciancimino jr., Lapis e tre
politici. Grasso aggiunge che, in ogni caso, "Cintola è morto, Cuffaro è stato
condannato, Romano è stato assolto e per Vizzini c'è una richiesta di
archiviazione per prescrizione", dunque la dimenticanza "non fu un gran danno".
Ne avesse azzeccata una: Cuffaro è stato condannato per altro (favoreggiamento
mafioso) e Romano assolto per altro (concorso esterno). Sulla presunta corruzione
mafiosa, Cuffaro è uscito dalle indagini; per Romano pende una richiesta di
archiviazione per prescrizione; idem per Vizzini perchè il Parlamentoha negato
l'uso di numerose intercettazioni. É incredibile che il Pna uscente ignori fatti
così gravi. Se poi sul caso incombe il rischio di prescrizione, è proprio perchè
le bobine furono ignorate nella sua gestione nel 2005 e scoperte dai suoi
successori nel 2008, perdendo tre anni preziosi. In realtà i carabinieri
obbedirono a una circolare diramata da Grasso il 26.11.2004 sulle intercettazioni
di parlamentari su utenze di soggetti terzi: "Non dovranno essere riportate nelle
richieste di intercettazioni o di proroga, né in qualsiasi altra nota...
all'Autorità giudiziaria", ma solo trasmesse con "note separate" alla Procura,
mentre nei "brogliacci" si deve annotare solo che le intercettazioni esistono.
Così, se un killer confida a un deputato che sta per uccidere qualcuno, la
polizia non può riportare la conversazione nella richiesta di intercettare il
killer, solo perché il killer ha preannunciato l'omicidio a un deputato. Senza la
circolare, magari, i Carabinieri avrebbero segnalato alla Procura le telefonate
dei politici. E la Procura di Grasso si sarebbe forse accorta per tempo della
loro esistenza.
Balla n. 4: le querele minacciate. "Mai
minacciato querele a Travaglio", assicura Grasso. Invece il 10.1.2006 Grasso
definì il libro Intoccabili. Perché la mafia è al potere (Bur) scritto da
Lodato e da me "opera di disinformazione scientificamente
organizzata" (non disse da chi) e aggiunse: "Non mancheranno le sedi
giudiziarie ed istituzionali in cui far trionfare la verità". Poi naturalmente se
n'è tenuto alla larga.
Balla n. 5: l'amante del confronto. Grasso
lamenta, sull'orlo delle lacrime, l'impossibilità di ottenere un confronto col
sottoscritto. Se ciò fosse vero, accetterebbe il mio invito a dibattere con me a
Servizio Pubblico, Otto e mezzo, al TG di Mentana, o da Lerner. E, se ciò fosse
vero, avrebbe risposto venerdì a Santoro che lo cercava tramite la batteria del
Viminale, anziché fargli rispondere (l'indomani e da una segretaria) che era
totalmente impegnato sabato e domenica (peccato che sabato fosse a Roma, ai
funerali di Manganelli). Personalmente cerco un confronto con lui da dieci anni.
Nell'estate 2003, quando ricostruii per MicroMega le drammatiche spaccature nate
nella sua Procura (quelle che lui liquida come "normali dialettiche interne",
mentre lui si sforzava di "tenere unita la magistratura"), il direttore Flores
d'Arcais lo invitò a un forum in redazione o a un confronto con Scarpinato. Ma
Grasso declinò entrambi gli inviti. Idem quando molti dei suoi PM chiesero un
confronto con lui dinanzi al Csm.
Balla n. 6: caso Schifani. Archiviato ai
tempi di Grasso, Schifani è stato di nuovo indagato dopo la sua dipartita. E,
contrariamente a quel che lui afferma, non è stato archiviato: la richiesta è
ancora all'esame del gup Piergiorgio Morosini.
Balla n. 7: le leggi anti-Caselli. Dice
Grasso che, contrariamente a quanto ho sostenuto a Servizio Pubblico, le tre
leggi del governo Berlusconi nel 2005 per eliminare il suo concorrente Gian Carlo
Caselli dal concorso per la Dna, non furono da lui "ottenute". Gli piovvero in
testa come la casa di Scajola: a sua insaputa. "Ottenere significa chiedere e io
non ho mai chiesto niente". Ma ottenere significa anche meritare. Si è mai
domandato perché ha meritato tre norme (e da che governo!) contro il suo unico
avversario, e dunque in suo favore? E perché i cinque membri laici del
centrodestra al Csm votarono per lui? E perché, mentre il centrodestra
cannoneggiava, spiava fin dentro i calzini, insultava, attaccava, faceva punire,
chiedeva di trasferire, delegittimava tutti i magistrati più in vista d'Italia, e
tutti i PM antimafia, elogiava, applaudiva, favoriva per legge e votava soltanto
uno: lui? Grasso sostiene che le tre leggi non ebbero effetto perché il Csm
avrebbe potuto procedere alla nomina del Procuratore nazionale antimafia in un
plenum straordinario, in fretta e furia, prima che entrasse in vigore la terza e
decisiva legge anti-Caselli. Il quale dunque "se la deve prendere con i colleghi
che impedirono la decisione". Balle: la commissione Incarichi direttivi dà 3 voti
a lui e 3 a Caselli il 12 luglio 2005; e il 20 luglio viene approvata la legge:
come può il plenum deliberare in una settimana, visto che uno dei relatori delle
candidature deve ancora stendere le motivazioni? Inoltre la lettera che chiedeva
il plenum straordinario su input del centrodestra era irricevibile, infatti non
ebbe risposta dal vicepresidente Rognoni. La legge poi ebbe un effetto
gravissimo: escludendo Caselli, gli impedì di ricorrere al Tar contro la nomina
di Grasso vantando titoli e anzianità che Grasso si sognava. In ogni caso resta
la questione di principio: un cultore della Costituzione come Grasso dovrebbe
sapere che l'art. 105 affida le nomine dei magistrati al Csm senza interferenze
del governo. E avrebbe dovuto rifiutare quel concorso truccato a suo favore.
Invece ne approfittò senza batter ciglio, salvo poi - quando la Consulta dichiarò
incostituzionale l'ultima norma - riconoscere che sì "era stata contro Caselli e
a favore mio", ma conservando la poltrona. Ottenuta, sì "ottenuta" in quel modo
scandaloso.
* * *
Esaurito per esigenze di sintesi e per ora il capitolo
"balle", e sorvolando sul paragone tra le critiche di un giornalista e le minacce
dei mafiosi alla sua famiglia, restano un paio di violenze alla logica che
confermano platealmente la sua fama di italianissimo furbo, una sorta di Alberto
Sordi della toga.
8. Premio antimafia a Berlusconi. È stato
tutto un equivoco, colpa di "quei birbanti de La Zanzara". Ma per non cadere nel
presunto tranello, anziché dire e ripetere che Berlusconi merita "un premio
speciale" antimafia, bastava rispondere: "No, nessun premio a chi dice che
Mangano è un eroe e che i magistrati sono matti, antropologicamente diversi dalla
razza umana, golpisti, cancro della democrazia". Nessuno avrebbe equivocato.
Fonoregistrazione integrale
delle parole di Piero Grasso alla "Zanzara" sul premio speciale al
Governo Berlusconi per la lotta alla mafia
Salvatore Borsellino su Piero
Grasso e Silvio Berlusconi
9. Processi & (in)successi. Se un PM si
chiama Ingroia o Caselli o Gozzo e si vede condannare un imputato, tipo
Dell'Utri, per Grasso "non deve viverlo come un successo". Anzi, come una
sconfitta, perché il processo "è durato troppo". Se invece l'imputato si chiama
Cuffaro e viene condannato e il PM si chiama Grasso, allora è un trionfo: la
prova che il suo "metodo" è quello giusto, mentre quello degli altri era
sbagliato, viziato da "processi gogna" a politici poi assolti, dunque da non
processare proprio (ma i processi non servono proprio a stabilire se uno è
colpevole o è innocente?). Quali? "Non è elegante fare nomi". Invece i nomi dei
suoi imputati politici Grasso li fa eccome e molto elegantemente. Tanto ce n'è
solo uno: Cuffaro. Anzi no, ha sgominato anche un altro pezzo da 90: "Vincenzo Lo
Giudice detto Mangialasagne", nientemeno che consigliere regionale Udc. E
qualcuno osa insinuare che si sia tenuto a distanza dalle indagini sulla
politica?
10. Applausi da Berlusconi e Dell'Utri. Se
Berlusconi applaude il suo discorso al Senato e se Dell'Utri si spertica in elogi
in ogni intervista, è colpa del Fatto che chiede pareri su di lui a
"persone non in auge dal punto di vista dell'opinione pubblica". Ma Dell'Utri,
prima che lo intervistassimo, aveva già esternato qua e là in difesa di Grasso:
"È equilibrato, un uomo di Stato. Lui sa chi sono io... Grasso è brava persona,
sono contento per la sua elezione a presidente del Senato... Non è un magistrato
fanatico come Ingroia". E già nel 2004 gli aveva dipinto un impareggiabile
ritratto umano: "Grasso, quando era giovane, giocava a calcio nella mia squadra,
la Bacigalupo, ed era famoso perché a fine partita usciva sempre pulito dal
campo: anche quando c'era il fango, lui riusciva sempre a non schizzarsi...".
Comunque, promesso: la prossima volta che ci servirà un parere su Piero Grasso,
chiederemo direttamente a Piero Grasso.
29 Marzo 2013 Caro Grasso, ora accetti un vero duello in TV
di Marco Travaglio Leggi l'articolo, qui!
Tratto dal Notiziario CSM di Magistratura
Democratica n. 25 del 25/09/03
OGGETTO: PLENUM 24 e 25/9/2003 E LAVORI DI COMMISSIONE
Le vicende della Procura della Repubblica di
Palermo.
I fatti - Come a molti noto, una situazione di grave
tensione si è registrata ancora una volta nella Procura di Palermo ed ha
subito assunto, come sempre, vistose risonanze sugli organi di stampa. Come
nell'autunno 2002 (in occasione delle critiche mosse al Procuratore per la
gestione del pentito Giuffrè) e nel periodo aprile-luglio (in occasione
dell'esame dell'assetto della DDA e della successiva scelta del procuratore
di ritenere Lo Forte, Scarpinato, Natoli, Ingroia esclusi dal concorso
interno per l'ingresso in DDA), ancora una volta il momento critico si è
registrato con riferimento alla gestione della DDA e, in particolare, alla
decisione del Procuratore di assegnare a Pignatone la competenza sulle
indagini concernenti la mafia della città di Palermo, comprendente di fatto
tutte le indagini sul terreno degli appalti e della PA.
A seguito dei contrasti interni, delle notizie apparse
sui quotidiani e delle richieste provenienti da alcuni magistrati, sono
state aperte in questi giorni alcune nuove pratiche consiliari. Due di esse
riguarderebbero la I Commissione: su richiesta dei laici indicati dai
partiti del Polo, sarebbero state aperte due pratiche nei confronti dei
sostituti Natoli e Russo per quanto dagli stessi dichiarato nel corso degli
incontri e ripreso dai quotidiani. Altre due pratiche risultano aperte
presso la VII Commissione: la prima concerne la richiesta dell'aggiunto
Morvillo, inoltrata al Vice-presidente del CSM, di essere ascoltato in
ordine al gravissimo stato di sofferenza in cui versa l'ufficio; la
seconda, aperta su richiesta degli 8 consiglieri dell'alleanza, ha per
oggetto l'esigenza che la Commissione proceda ad un'immediata azione
conoscitiva dello stato di gestione e organizzazione della Procura
palermitana, azione che rientra fra le competenze acquisite a seguito della
soppressione della X Commissione (criminalità organizzata).
Ogni ipotesi di intervento urgente della Commissione è stata esclusa dalla
stessa Commissione (riunione del 25 settembre), che, con i voti del
presidente Tenaglia e dei consiglieri Di Federico, Primicerio e Schietroma,
ha optato per l'attesa della conclusione delle procedure tabellari (inoltro
del nuovo progetto organizzativo con parere del Consiglio giudiziario) e
per la convocazione del Presidente della Corte di appello al fine di
sollecitarne l'attenzione e di invitarlo ad accelerare i lavori del
Consiglio giudiziario.
Nello stesso pomeriggio il Vice Presidente del CSM ha inoltrato al
Procuratore Grasso (e tramite lui ai magistrati dell'ufficio) una missiva
in cui si manifestava grande attenzione per i problemi dell'ufficio e
l'impegno a darvi tempestiva risposta, aggiungendo un invito affinché tutti
compiano ogni sforzo per superare la situazione di disagio da alcuni
segnalata.
Le prime valutazioni - La lettera inviata dal collega
Morvillo costituisce un segnale dell'estrema gravità delle tensioni che
ancora permangono all'interno della Procura palermitana, così come lo sono
le dure dichiarazioni che alcuni magistrati dell'ufficio avrebbero
formulato nel corso degli incontri tenuti dalla DDA. I rischi che tali
tensioni possano degenerare e accrescere le difficoltà in cui versa
l'intero ufficio sono percepibili da chiunque abbia seguito la vicenda.
Va ricordato che la situazione difficile inizia nel settembre 2002, quando
gli aggiunti Lo Forte e Scarpinato criticarono le modalità di gestione del
procedimento e delle dichiarazioni del collaboratore Giuffrè e, in seguito,
di altro collaboratore, tale Lipari. A tali critiche seguirono un'apertura
di pratica in Prima Commissione, richiesta dai laici del Polo per
trasferire d'ufficio i due aggiunti, ed una successiva richiesta di
verifica da parte dei medesimi della legittimità della permanenza dei due
in DDA (problema legato agli 8 anni di permanenza). Insomma, attraverso il
problema della permanenza massima si è cercato di sanzionare le critiche
mosse dai due aggiunti al capo ufficio "estromettendoli dalla DDA e
privandoli dei presupposti del loro agire" e, nello stesso tempo, con tale
scelta si è tentato di far passare una visione verticistica delle procure
(in linea con quanto contenuto nel ddl sull'ordinamento giudiziario).
A fronte di questa realtà assai complessa e dei rischi di accentuazione
delle divergenze (che le deliberazioni assunte dal CSM ad aprile ed a
luglio non hanno certo contribuito a contrastare...) riteniamo che una
risposta formale e burocratica rappresenti da parte del Consiglio un errore
ancora più grave. Attendere il momento in cui sarà possibile esaminare e
quindi valutare il nuovo progetto organizzativo (il termine per le
osservazioni scade il 28 settembre) significa lasciare l'ufficio senza
alcun serio riferimento almeno per alcune settimane; sempre ammesso che
questa volta il Consiglio sappia fornire una risposta tecnica adeguata alla
complessità dei problemi e non si debba attendere, invece, la futura
circolare per le tabelle del biennio 2004-2005.
Ma il vero problema è che le tensioni solo in parte concernono gli aspetti
tabellari. Esse riguardano, a quanto si comprende bene, le modalità e i
criteri con cui l'attività della DDA è gestita e coordinata; riguardano
problemi di mancata circolazione di notizie e di emarginazione di buona
parte dei magistrati dalle scelte del Procuratore; riguardano le scelte
delle persone cui le attività sono delegate.
In questo contesto non possiamo condividere l'idea di prendere tempo, di
riportare tutto a problemi meramente tabellari e di rifiutare l'audizione
dei tanti colleghi che si sono rivolti al CSM (altri 15 o 16 magistrati
della DDA hanno chiesto dopo Morvillo di essere sentiti dal Consiglio). La
Commissione ha deciso di respingere anche la proposta di mediazione,
avanzata da Arbasino e Marini, di limitare per adesso le audizioni ai soli
Procuratori aggiunti Lari, Morvillo e Palma e di effettuare le stesse non a
Palermo, ma a Roma.
A fronte di questo rifiuto, ha assunto una connotazione ancora più
inaccettabile (soprattutto per i colleghi palermitani) la decisione della
Commissione di convocare per il 29 settembre il presidente della Corte di
appello al solo fine di sollecitarlo in ordine ai tempi di lavoro del
Consiglio giudiziario.
E' bene non dimenticare che queste decisioni della VII Commissione sono
state prese mentre alcuni consiglieri laici stanno tentando di spostare
(come spesso accade) l'attenzione dalle difficoltà dell'ufficio agli
eventuali abusi commessi dai singoli (in questo caso i sostituti Natoli e
Russo) con le dichiarazioni rese nel corso delle riunioni d'ufficio.
Trattativa Stato-mafia
19 ottobre 2009 - Salvatore Borsellino: "Le parole di
Grasso mi sconvolgono"
"Mi sconvolgono le parole di Piero Grasso, da un lato
sembra quasi giustificare in alcune sue parole la trattativa con la mafia".
Lo ha detto Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso il 19
luglio 1992 in via D'Amelio, a "24 Mattino" su Radio 24 [ascolta
l'intervista] per parlare di trattativa tra Stato e mafia. "Io - ha
aggiunto Borsellino - ritengo che se è vero che la trattativa può aver
salvato la vita a qualche politico, allora è vero che la trattativa è stata
barattata con la vita di Paolo Borsellino. Mi sconvolge questo tipo di
affermazione".
"E mi sconvolge anche l'idea di una trattativa - ha
detto Borsellino - Io da anni ripeto, prima inascoltato mentre ora mi
stanno arrivando conferme anche da parti istituzionali, che mio fratello è
stato ucciso proprio per la trattativa. Mio fratello costituiva un ostacolo
a questa trattativa, ritengo addirittura che la veemenza con la quale si è
opposto ad essa ha causato la necessità di eliminarlo, e anche in fretta.
Conoscendo bene mio fratello - ha aggiunto - so che avrebbe portato
all'attenzione dell'opinione pubblica questa scellerata trattativa".
"E' pazzesco - ha aggiunto ancora Borsellino - che se ne
parli oggi, 17 anni dopo. Perchè Grasso non ha fatto questa affermazione
sulla trattativa nel momento in cui Mancino negava che la trattativa ci
fosse stata? Perchè Martelli ha parlato solo ora? Perchè tante persone
nelle istituzioni parlano oggi di cose che, se avessero denunciato 15-16
anni fa, avrebbero potuto cambiare le cose?". Borsellino è tornato anche
sul presunto incontro tra suo fratello e l'allora ministro dell'Interno
Mancino, il primo luglio 1992 al Viminale, incontro che Mancino ha sempre
negato: "Ma secondo lei - ha detto - devo credere a quello che dice Mancino
o a mio fratello che in una sua agenda, quella grigia, in cui appuntava ora
per ora i suoi appuntamenti ha scritto proprio Mancino? Io devo credere a
mio fratello che non si può essere preconfigurato un falso appuntandosi in
un'agenda un incontro che non c'è stato a futura memoria".
"Oggi - ha sottolineato - grazie alle rivelazioni di
Ciancimino, al papello, posso arrivare a pensare che non sia stato Mancino
a prospettare a Paolo la trattativa perchè forse Paolo ne era già al
corrente. Ma le cose non cambiano perchè il primo luglio, quando Paolo per
me ha incontrato certamente Mancino, ne avrà sicuramente parlato di questa
trattativa. Mancino ostinatamente nega, io - ha concluso - credo a mio
fratello piuttosto che a Mancino". (Adnkronos)